KANT – LA CRITICA DEL GIUDIZIO

Il problema e la strutture dell’opera 

Dalla critica della ragion pura emergeva una visione della realtà in termini meccanicistici, nella critica della ragion pratica c’è una visione indeterministica e finalistica; da un lato c’è un mondo fenomenico e deterministico conosciuto dalla scienza, dall’altro un mondo noumenico finalistico postulato dall’etica. Nella critica del giudizio Kant studia il sentimento, procedendo oltre la bipartizione tradizionale della facoltà (teoretica e pratica) egli fa del sentimento la terza facoltà intendendolo come la peculiare facoltà mediante cui l’uomo fa esperienza di quella finalità del reale che la prima Critica escludeva sul piano fenomenico e che la seconda postulava a livello noumenico. Sebbene il sentimento tenda a figurarsi il mondo fisico in termini di finalità e libertà, esso rappresenta soltanto una esigenza dell’uomo che, come tale, non ha un valore di tipo conoscitivo e teoretico. Il sentimento permette l’incontro tra i due mondi, ma non la conciliazione, è un accordo che vale solo soggettivamente.

  • i giudizi determinanti sono giudizi conoscitivi e scientifici studiati nella critica della ragion pura, cioè i giudizi che “determinano” gli oggetti fenomenici mediante le forme a priori universali.
  • i giudizi riflettenti si limitano a riflettere su di una natura già costituita mediante i giudizi determinanti e ad apprenderla attraverso le nostre esigenze universali di finalità e armonia.

Nei giudizi determinanti l’universale è già dato dalle forme a priori, in quelli riflettenti l’universale va cercato partendo dal particolare. I giudizi determinanti sono oggettivi e scientificamente validi, quelli riflettenti esprimono più che altro un bisogno tipico di quell’essere finito che è l’uomo. L’uomo ha bisogno di pensare che la natura sia adatta a servire i fini umani e a rendere possibile la sua libertà. La critica del giudizio è un’analisi dei giudizi riflettenti, per giudizio si intende “organo dei giudizi riflettenti”, ossia la facoltà intermedia tra intelletto e la ragione, e quindi tra la conoscenza e la morale. I due tipi fondamentali di giudizio riflettente sono:

  • giudizio estetico: verte sulla bellezza, viviamo immediatamente e intuitivamente la finalità della natura
  • giudizio teleologico: riguarda il discorso sui fini della natura, noi pensiamo concettualmente tale finalità mediante la nozione di fine.

Entrambi derivano a priori dalla nostra mente, sono giudizi sentimentali puri. Se il principio di finalità riguarda il rapporto di armonia che si instaura tra soggetto e rappresentazione del soggetto, si ha il giudizio estetico, se riguarda un ordine finalistico interno alla natura stessa, si ha quello teleologico. Nel primo caso si parla di finalità soggettiva o formale, nel secondo di finalità oggettiva o reale. Anche il giudizio teleologico esprime soltanto un bisogno soggettivo della nostra mente di rappresentarsi in modo finalistico l’ordine delle cose.

L’universalità del giudizio di gusto e la rivoluzione copernicana estetica  

Cosa intende sostenere Kant quando difende l’universalità del giudizio estetico? Intende asserire che nel giudizio estetico la bellezza è vissuta come qualcosa che deve venir condivisa da tutti. Kant distingue piacevole, che è ciò che piace ai sensi nella sensazione, e piacere estetico, che è il sentimento provocato dall’immagine della cosa. Il piacevole dà luogo ai giudizi estetici empirici, che nascono dalle attrattive delle cose sui sensi e sono legati alle inclinazioni individuali, privi di universalità. Il piacere estetico invece è qualcosa di puro che si concretizza nei giudizi estetici puri, derivanti dalla sola contemplazione della forma di un oggetto. Soltanto i giudizi di questo tipo hanno la pretesa dell’universalità, in quanto non sono soggetti a condizionamenti.

Il sublime, le arti belle e il genio

L’analisi del sublime  

Il sublime è strettamente legato alla dismisura, alla sproporzione, alla cupezza, all’infinito, a tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, legato però al piacere. Il sublime è fonte di un sentimento di dilettoso orrore che l’uomo prova di fronte a ciò che non può controllare, ma che può contemplare. Il sublime è un valore estetico prodotto da qualcosa di smisurato e incommensurabile. Kant distingue due sublimi: quello statico e quello dinamico. Il sublime matematico nasce in presenza di qualcosa di smisuratamente grande ma fermo, statico (montagne, le galassie…); da un lato proviamo dispiacere perché qualcosa di immenso ci sfugge, non è controllabile, dall’atro piacere, che è piacere della ragione perché si risveglia in noi l’idea di infinito, e diventiamo consapevoli della nostra grandezza spirituale. Il vero sublime risiede allora in noi stessi, si passa da una iniziale stima per l’oggetto ad una finale stima di noi stessi. Il sublime dinamico nasce invece in presenza di forze naturali poderose (tempeste, valanghe…); avvertiamo la nostra piccolezza e impotenza ma in seguito sentiamo piacere per la grandezza spirituale, ci rendiamo conto della sublimità della nostra natura di soggetti morali. Sublime per eccellenza è la legge morale, di fronte alla forza invincibile della ragione che ordina il dovere, l’uomo non può altro che provare un sentimento di rispetto e venerazione che lo induce a sottomettersi ad essa. Entrambe le forme del sublime presuppongono una certa levatura d’animo, nel caso in cui gli individua abbiano una “certa cultura” allora può avvenire il processo che trasforma il dispiacere in piacere, l’impotenza in potenza. Il sublime per Kant si differenzia dal bello.

Il bello nell’arte

La è bella quando ha l’apparenza dell’arte e l’arte è bella quando ha l’apparenza o la spontaneità della natura. L’arte, per Kant, è un tipo di agire che produce opere, e le suddivide in arte meccanica ed estetica. Quest’ultima ha per scopo il sentimento di piacere e si divide in arte piacevole e arte bella. L’arte piacevole ha scopo di intrattenere o rallegrare, l’arte bella ha il suo scopo in se stessa ed è quindi un piacere disinteressato. La spontaneità dell’arte proviene dal genio, il quale è il tramite con cui la natura interviene sull’arte. Le caratteristiche del genio sono: originalità e creatività, capacità di produrre opere esemplari che fungano da modelli, l’impossibilità di dimostrare scientificamente come compie la sua produzione. Il genio è inimitabile. Nella scienza operano ingegni, nell’arte dei geni.

Il giudizio teleologico: il finalismo come bisogno connaturato alla nostra mente

La finalità del reale può anche essere pensata mediatamente nel giudizio teleologico. L’unica visione scientifica del mondo è quella meccanicistica, basata sulla categoria di causa-effetto e sui giudizi determinanti. Nella nostra mente però si sviluppa una tendenza a pensare finalisticamente, cioè a scorgere nella natura l’esistenza di cause finali. Di fronte all’ordine della natura pensiamo ad una mente ordinatrice che è dio, crediamo che la natura sia organizzata per la libertà e la moralità e predisposta per la nostra specie. Il giudizio teleologico non ha valore dimostrativo o teoretico, in quanto il suo assunto di partenza, la finalità, non è verificabile ma è solo un nostro modo di vedere il reale. Il meccanicismo non è in grado di offrire una spiegazione totale dei fenomeni, tuttavia si ha il dovere di spiegare meccanicisticamente tutti i prodotti della natura. Il modello teleologico non può sostituire quello meccanico e non può pretendere di avere valore teoretico e scientifico. Per evitare l’antinomia del giudizio teleologico, è opportuno considerare il finalismo come una sorta di promemoria critico che ci ricorda da un lato i limiti della visuale meccanicistica e dall’atro l’intrascendibilità dell’orizzonte fenomenico e scientifico.